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23 Anno III n. 1 - Aprile 2010Italian Edition Speciale HT pagina 22 Questo vale soprattutto per gli adolescenti. Per il soggetto dal comportamen- to deviante, tale scelta è una modalità per rendere più evi- dente il suo messaggio, per affermare e difendere la sua identità. Deviare è l’azione che egli compie alla luce di una idea costruita in ordine al proprio progetto di vita. Devianti, in questo senso, sono gli innova- tori che in ogni epoca si scosta- no dalle posizioni più comuni, quelle più frequenti nella cultu- ra dell’epoca in cui essi vivono, e offrono il loro apporto all’evolu- zione culturale dell’umanità(11) . Il ragazzo devia perché ha la necessità di rispondere alla pro- pria ricerca di significato che non sempre corrisponde a quello che l’adulto desidera per lui(11) . Alle radici della devianza conclamata vi è sempre una vio- lenza che il bambino ha subito dall’adulto. Il disagio esisten- ziale, nella sua complessità, rap- presenta un modo di crescere del soggetto che esprime il suo bisogno di identità. Disagio, disadattamento e devianza, sono il frutto delle relazioni e dei processi comunicativi fra i soggetti che li producono e colo- ro che reagiscono con interven- ti e controlli sociali(12) . Sono un grido di aiuto a cui spesso i sog- getti preposti all’ascolto rispon- dono in modo inadeguato(13) . Bisogna prendere atto che spes- so le situazioni negative possono dipendere dalla cattiva capacità relazionale(14) . Dai fattori di rischio alla pre- venzione della devianza Il rischio si configura come un costrutto complesso, dal momento che evoca connotazio- ni negative. Sul suo significato e uso convergono attribuzioni diverse, che fanno comunque riferimento a termini come pos- sibilità di eventi indesiderati, o a esiti negativi, o ancora a un complesso di condizioni sociali e ambientali la cui esistenza gene- ra un danno. Tutte le variabili di ordine psicologico, culturale, sociale che anticipano, segnala- no e/o favoriscono conseguenze negative sono definite fattori di rischio. Lo studio sui fattori di rischio ha subito nel corso del tempo una trasformazione: in passato, nei termini di influenze prevalentemente individuali o ambientali, successivamente si è sviluppata una prospettiva più dinamica, nella quale è difficile stabilire il peso di ogni fattore. Oggi si è assunta un’impo- stazione che tende a spiegare il rischio come interazione conti- nua di una molteplicità di fat- tori, per cui appare improbabile che i fattori di rischio a carico della persona, della famiglia, dell’ambiente sociale, consi- derati isolatamente, possano dare una spiegazione esausti- va all’equilibrio psicologico del soggetto. Negli ultimi anni si è affermata l’espressione “rischio psicosociale”(15) per indicare una molteplicità di fenomeni che possono essere considerati determinanti, moderatori o pre- cursori del disagio. I diversi percorsi di svilup- po individuale sono quindi il risultato dell’azione di specifici adolescenti che rispondono in manieradifferenziatiinpartico- lari compiti di sviluppo posti dal con- testo in cui vivono. Quindi, per comprendere i comportamenti a rischio in età adolescenziale occorre fare riferimento agli adolescenti e al suo contesto(16) . Si tratta di comportamenti che compaiono a questa età e che possono mettere a repentaglio il benessere psicologico, sociale, così come la salute fisica presen- te futura. Se i fattori di rischio sono gli elementi che segna- lano, favoriscono e anticipano il disagio e che contribuiscono a determinarlo in un quadro multi fattoriale, i fattori di pro- tezione sono quelli che contribu- iscono a evitare o attenuare una situazione di disagio o un cer- to comportamento a rischio(17) . Solo recentemente la lettera- tura ha posto una crescente attenzione ai fattori di protezio- ne(18) che vengono generalmen- te definiti in diverso modo: . come situazioni che riduco- no la possibilità di coinvol- gimento nei comportamenti a rischio; . come fattori che riducono i danni nel caso di coinvolgi- mento; . come elementi che mode- rano gli effetti dei fattori di rischio presenti nell’am- biente(19) . Per esempio, i fattori che, in generale, durante l’adole- scenza favoriscono un buon adattamento e sviluppo sono: . le competenze individuali, cognitive, affettive e rela- zionali; . le caratteristiche positive dei genitori; . la coesione familiare e la buona qualità comunicativa della famiglia; . la presenza di adulti signi- ficativi diversi dalle figure genitoriali e le occasioni di passare a condizione di vita adulta. Grazie agli effetti dei fattori di protezione, alcuni adolescen- ti riescono ad avere uno svilup- po positivo, anche se vivono in condizioni sociali o psicologiche negative. È possibile indicare due diffe- renti tipologie di studi che han- no indagato i fattori di rischio e di protezione nelle dipendenze in adolescenza: 1.studi longitudinali basati su gruppi “normali” di studen- ti(20) ; 2.studisugruppidisoggetti“a rischio”, spesso adolescenti con genitori con dipendenza da alcol o da sostanze(21) ; Conclusioni Dopo tanto aver scritto e ana- lizzato sulle problematiche di prevenzione giovanili, ci ren- diamo conto che parlare della percezione della nostra anima non è facile, ci si sente vulne- rabili a esternare le proprie emozioni. Troppo spesso cer- chiamo di ridurre l’amore a esercizio di seduzione o a sentimento positivo, inve- ce è anche dolore, perdi- ta, abbandono… Chi è capace di insegnare ai propri figli cosa vuol dire lasciare o essere lasciati? Eppure è una delle esperienze più frequenti della vita: quante volte lascia- mo (una persona, un oggetto, un luogo, un’idea) o ne subiamo l’abbandono? In entrambi i casi, le conse- guenze più negative sul piano psicologico avvengono se un individuo non è stato educato all’autonomia: è una situazione che si realizza in special modo quando il rapporto di dipenden- za genitoriale, tipicamente quel- lo materno (una madre, spesso, tendeatrattenere)èpiùpresente e più forte: “Mangia altrimen- ti non cresci, copriti bene che fuori fa freddo e ti prendi una polmonite, togliti il maglione se no sudi e ti viene un accidenti, lavati i denti se non vuoi che da grande non te ne rimanga nem- meno uno, non bere tutto d’un fiato che ti strozzi…”, ci diceva- no i nostri nonni (e ancora oggi non pochi genitori). Altro che parlar d’amore: inte- re generazioni si sono tramanda- te solo strategie per rispondere a bisogni primari, difendersi dai pericoli, tentare di sopravvivere con il progresso economico; la nostra gente si è scoperta anal- fabeta di relazioni affettive e di sentimenti. In particolar modo, la generazione nata nel secondo dopoguerra si è trovata a dover fare da pioniera, da apripista, rispetto alla necessità di educare i propri figli a crescere dal pun- to di vista relazionale oltre che cognitivo e comportamentale. Come risorse possibili non solo le parole, ma anche i silen- zi, i pianti, la rabbia, l’euforia, la gioia; se vogliamo crescere come comunità dobbiamo provare a trovare gli antidoti a una seco- lare afasia emotiva e quel che è più difficile è che siamo costret- ti a farlo senza poter contare sui maestri o modelli assimilati. Tra i 50 e i 60 anni si entra in crisi più frequentemente rispet- to ad altri momenti della vita e quando si soffre, sopratutto se a dolere è l’anima, si diventa fatalmente egocentrici, si pensa soprattuttoeprincipalmentease stessi. Anche la pre-adolescenza e l’adolescenza sono però età in crisi. “Crisi” etimologicamen- te significa “crescita”, dunque inquietudine e, d’altra parte, “un adolescente non inquieto sarebbe molto inquietante”. Il rischio che corrono quei genitori di mezza età è quindi il tendere a sottovalutare i proble- mi esistenziali dei figli perché troppo occupati a dare una solu- zione ai propri. Diquiunpossibileprincipiodi distacco, un possibile, ulteriore, inceppamento della già incerta comunicazione fra generazio- ni che porta inesorabilmente all’impossibilità, per un adulto, di capire qualcosa del mondo emotivo di un adolescente. Invece è proprio l’ascolto del dolore affettivo, prodotto da una fisiologica insicurezza di identi- tà dell’adolescente, che potrebbe dirci molto di più di tante pre- occupazione sulle capacità di apprendimento scolastico o sul- le performance sportive. “Nes- suno conosce nessuno”, scriveva Flaubert. Ma molti di noi hanno trasformato quella denuncia in rassegnazione, accettando che a identificare la nostra comunità sia la rinuncia a capirsi: marchio paradossale della modernizza- zione di un popolo cresciuto con il mito della comunicazione. I figli cercano segnali di fumo per credere che ci sia ancora vita negli adulti nonostante le loro fughe, i loro reiterati tentativi di occuparsi di altro. Quei figli hanno bisogno di essere incro- ciati non da immagini o da ombre, ma da adulti reali, capaci di essere per loro un riferimento. L’antidoto all’indifferenza che investe l’adolescenza e la giovi- nezza è, dunque, quella forma di curiosità per le persone e le cose che consente di stabilire un contatto, di parlare con loro, non di loro o semplicemente a loro: si chiama, appunto, passione ed è un profondo, umano straordina- rio strumento di conoscenza di sé e del mondo. Un salvavita che va impolli- nato giorno dopo giorno per tut- to il tempo della crescita. Tutti lo possono fare: ognuno di noi, qualsiasi sia l’età, il sesso, il ruolo sociale(22) . La bibliografia è disponibile presso l’Editore.

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